CONTROVERSA
È senza dubbio la parola che meglio analizza e distingue la Dakar 2023. Per moltissime ragioni che molte persone, che vi hanno preso parte, potrebbero spiegarvi nei minimi dettagli. Proviamo a fare quindi un’analisi di questi venti giorni appena trascorsi e cercare di capire perché di questa Dakar, ormai per sempre, sentirete parlare in modo molto diverso dalle persone.
PERCORSO
Basta una sola parola a descriverlo in questo caso e cioè straordinario. L’equipe di scouting e poi di preparazione del tracciato ha fatto un lavoro egregio, iniziato già in buona parte negli anni precedenti e portato a compimento per questa edizione. Bellissimo, suggestivo, ma soprattutto selettivo, come deve essere una Dakar. E soprattutto reso ancora più impegnativo da un meteo così avverso come non si incontrava da anni. A coloro che vi diranno che c’era troppa sabbia – in molti in realtà – basterà ricordare invece le prime tre tappe, caratterizzate da sassi, pietre e massi enormi che tutti hanno finito per odiare sognando una sabbia e quelle dune che poi in effetti sono arrivate, con le loro insidie, e non se ne sono più andate fino alla fine di quattordici giorni epici. L’Empty Quarter, tanto evocato, e finalmente proposto per ben due giorni ai concorrenti e solo in parte alle assistenze, è piaciuto e di sicuro nei prossimi anni la gara ci tornerà, cercando magari di spingersi un po’ più in profondità. Quello che magari non è piaciuto sono state le privazioni a cui il rally si è dovuto sottoporre ma, sinceramente, questo è un discorso che lascia il tempo che trova e che verrà, comunque, approfondito un po’ più avanti.
EMPTY QUARTER
Un successo. Finalmente è arrivato qualche cosa che ha risuscitato l’entusiasmo e la curiosità in tutta la carovana della gara. Tutti volevano andare in questo deserto così isolato da tutto ma incredibilmente quasi nessuno aveva pensato, e immaginato, l’inevitabile… se si chiama Empty, e se è desolato, ci sarà un motivo. Quindi ogni cosa è ovviamente complicata : dal trovare benzina, o gasolio (quest’ultima cosa per la verità già di per sé complessa in tutta l’Arabia Saudita) al reperire acqua, dal trovare connessione e poter telefonare. Più di qualcuno si è lamentato perché non poteva farsi due docce al giorno o perché non poteva azionare la lavatrice che gli avrebbe permesso la mattina dopo di ripartire con la tuta ignifuga fresca, pulita e profumata, dimenticando che una volta l’acqua alla Dakar non c’era e per lavarsi, nell’arco di quindici giorni, eravamo costretti a negoziare e contrattare secchi di acqua sporca che riuscivano a malapena a darci una sensazione di pulito che durava molto brevemente… A lavarsi la tuta o i vestiti non pensava nessuno e spesso a fine gara si arrivava con capi che camminavano da soli tanto era il fango, la polvere e lo sporco attaccati al tessuto. Sono altri tempi, è vero, ma il problema è che gli agi a cui oggi questa gara si è abituata hanno finito per snaturarla praticando quel passaggio e quella trasformazione difficili da digerire dai veri dakariani, che oggi sostituisce in buona parte i piloti veri e avventurieri di una volta con imprenditori, ragazzetti, vip e annoiati riccastri un po' viziati e capricciosi che faticano anche solo a lavarsi i denti con una bottiglietta d’acqua in una mano e lo spazzolino nell’altra. Dormire in tenda ormai è fastidioso e nella tappa marathon se ne sono viste di tutti i colori. La solidarietà, la voglia di stare insieme si riduce sempre di più e la vicinanza con gli altri si evita, specie quando si dorme: tenda singola per tutti, anche dentro il tendone che ha offerto riparo durante i due bivacchi marathon, come una matriosca, tenda, con dentro tenda con dentro tenda e avanti così. E di dormire in due nella stessa '2 seconds' non se ne parla perché nonostante si passi tutto il tempo insieme in macchina, o forse proprio per quello, alla notte con quella stessa persona la tenda non la vuoi condividere. Quindi ok Dakar rally, ma per carità, con i miei agi, i miei vizi, le mie abitudini.
Sono scomparsi gli spazi promiscui, la famosa tendona dove si poteva dormire tutti insieme e che riparava dalla pioggia e dal freddo…
LA CONNESSIONE INTERNET
Restare senza connessione per due giorni, quasi tre, è stata in parte una manna dal cielo. Niente pressioni, niente messaggi, niente video e foto da trasmettere in tempo reale: una privazione che è costata però moltissimo ai piloti e si è potuto assistere a vere manifestazioni di panico da parte di chi non riusciva a comunicare con casa, con gli amici, con la mamma che era preoccupata. Il tutto per due giorni, non per un mese ! Di nuovo, come accadeva tanti tanti anni fa, si sono viste persone arrampicarsi in cima alle dune per captare una connessione ridotta all’osso. Per i vecchi dakariani questa situazione è stata una goduria e ha riportato la memoria agli anni Ottanta quando si partiva da casa, si salutavano amici e parenti e li si lasciava con un abbraccio e un semplice “ci risentiamo fra venti giorni”, o un mese se la gara era più lunga. Incredibile dover spiegare oggi che non è mai morto nessuno per questo motivo, che le mamme se ne facevano una ragione, che agli amici restavano forse i giornali e solo in pochi avevano la fortuna di vedere i loro beniamini e amici alla televisione. Oggi tutto ciò sembra impossibile. Che le foto si vedessero solo dopo la prima settimana sui settimanali o sui giornali di settore e che le immagini passassero alla televisione solo in certe ore della giornata, costringendo gli appassionati a stare svegli fino a tarda notte sembra una favola, una leggenda assurda che non può essere vera.
Eppure era proprio così e quando si telefonava a casa per dire che si stava bene si usava il telefono satellitare che costava cifre astronomiche e a chi rispondeva dall’altra parte del filo – sembra impossibile oggi già solo pensare che i telefoni fossero collegati da fili – arrivava una voce lontanissima, spesso accompagnata dall’eco, che urlava “sto bene” e riattaccava, senza neanche lasciare il tempo di chiedere “Ma chi parla?”. Costo dell’operazione dalle 20 alle 50 mila lire.
Oggi se non pubblichi la foto del giorno, se non saluti il tuo ‘pubblico’ mentre fai colazione alla mattina, se non ti fotografi accanto alla ruota stallonata sulla duna, se non racconti tutto quello che ti è successo quando arrivi al bivacco a qualsiasi ora del giorno o della notte non sei nessuno e soprattutto temi che le persone a casa soffrano incredibilmente senza saperlo. Ho sentito persone, anche esperte, lamentarsi per un bivacco senza internet, o senza connessione: "capisci?? Hanno fatto un bivacco dove il telefono non prende". Sconcertante, seriamente !
Una volta non c’erano i social, non c’era You Tube, non c’erano i siti che ti svelavano tutti i dettagli, non c’era modo di leggere le classifiche e capire chi stava vincendo e soprattutto non c’era internet, quindi non c’era what’s up e in effetti…neanche i telefoni cellulari.
Eppure siamo sopravvissuti e non solo: abbiamo anche creato la leggenda di questa gara.
Peccato che il fatto – ovvio – che la mancanza di connessione si sarebbe ripercossa anche sull’organizzazione e su un sistema di calcolo classifiche e comunicazione tutto basato su internet – Sportity – non fosse stato preso in considerazione in precedenza. Quindi i due bivacchi, marathon da un lato e assistenze dall’altra, a Shaybah, hanno fatto una gran fatica a mettersi in contatto fra loro e le penalità, i controlli, le classifiche, l’ordine di partenza, hanno sofferto di incertezze, inesattezze e ritardi. Le classifiche e l’ordine di partenza sono stati stampati ed esposti, come accadeva fino a tre anni fa - nel pre Covid, cioè – e ognuno è andato a leggerseli, scattando una foto per ricordarseli perché ormai un foglio e una penna non li usa più nessuno, anzi non sono neanche contemplati nel bagaglio della maggioranza dei piloti che non vede la necessità di possedere un pezzo di carta, un notes e una penna o una matita. E le penalità? Le famose convocazioni della direzione gara per parlare di qualche ‘fattaccio’ ? Le oltre 200 comunicazioni del direttore di gara che vengono pubblicate come notifiche su Sportity che fine hanno fatto in quei giorni? Hanno aspettato, comparendo poi sui telefoni dei team manager o dei piloti qualche giorno dopo per notificare, appunto, una multa, una penalità, o chissà cos’altro.
ORGANIZZAZIONE
Argomento scottante e delicato. Forse la parola assente non rende bene l’idea, magari meglio distratta e con questo termine si tenta di coprire e sottovalutare una serie di errori talmente lampanti che non è possibile che persone che dovrebbero essere gli organizzatori della gara numero uno al mondo non abbiano neanche lontanamente immaginato.
Latitante forse è il termine migliore perché nonostante la buona volontà di pochissime persone, forse non più di cinque, l’assenza di spina dorsale, lungimiranza e capacità di prevedere nel gruppo che dovrebbe dirigere questo rally, è ingiustificabile. La colonna di oltre otto chilometri all’entrata del Sea Camp il primo giorno, che tutti i concorrenti avevano immaginato, palesato e temuto si è realizzata grazie all’inadeguatezza del sistema e a una totale mancanza di comunicazione all’interno dell’organizzazione che è ormai passata alla storia. Una persona che lasciava passare da un lato, un’altra che bloccava dall’altro, persone che davano di matto dall’altro lato ancora, concorrenti allucinati e arrabbiati, gente che vagava da una tenda a un cancello senza capire cosa fare e in che ordine. Bivacchi inadeguati che davanti a una pioggia che non ha dato tregua per quasi tutte le due settimane hanno inasprito situazioni già di per sè complicate. La sabbia riportata e utilizzata
per creare aree laddove prima non c’erano ha fatto sprofondare tutti i mezzi pesanti, pullman compresi. Semirimorchi, camion porta container, camper, tutto è rimasto imprigionato nel fango e nelle caregge profonde per esempio di Al Hofuf o del bivacco di tre giorni dell’Empty Qyarter. E sì che non manca certo lo spazio negli immensi spazi vuoti dell’Arabia Saudita eppure i bivacchi, alcuni costruiti in anticipo, altri sostituiti all'ultimo istante, altri tirati su in un solo giorno, non hanno fatto il loro lavoro. E che dire del sevizio di charter privati per raggiungere Yanbu e ripartire da Dammam di VSO fatti pagare come un posto in business di un aereo di linea e assolutamente scandalosi, piccoli, inadeguati, scomodi e che grazie a un ritardo di oltre due ore, al rientro da Dammam hanno causato la perdita delle coincidenze ad oltre metà delle persone a bordo. Carte d’imbarco scritte a mano, bagagli senza etichette di riconoscimento e ovviamente persi negli aeroporti, navette inesistenti che non garantiscono il servizio fra porto, bivacco e aeroporto, servizi informazioni che rilasciano pseudo-informazioni che puntualmente sono errate. Insomma un servizio di serie D, vergognoso, e pagato a peso d’oro lasciato gestire da moltissimi ragazzi e ragazze alle prime armi, senza alcuna esperienza e neanche formazione, spaesati e senza cognizione del loro lavoro. Bastava guardare le classifiche o il sito nei primi giorni per rendersene conto: foto sbagliate, nomi sbagliati, foto mancanti, piloti che corrono con un certo team mentre invece corrono con un altro, Toyota iscritte in T3…informazioni errate ovunque e quando chiedevi spiegazioni non riuscivano neanche a capire di che cosa stessi parlando. La nuova generazione impiegata alla Dakar non sa niente di questa gara: e non si prepara, non si informa, non studia. Confonde i nomi, le località, le marche, i team in un modo talmente spudorato che non riesci neanche ad arrabbiarti.
Le braccia però, quelle sì, per non dire altro, ti cadono davvero per terra ! E per averne una riprova provate a guardare le classifiche oggi, sul sito ufficiale, e su Sportity, e le troverete diverse.
GLI OROLOGI MISTERIOSI
Nel regolamento FIA 2023 della Dakar quest’anno figurava una norma a dir poco curiosa. Nessuno ci faceva molto caso in effetti anche perché le persone che leggono il regolamento si contano sulle dita di due mani e quindi quando alle verifiche amministrative sono stati regalati ai copiloti degli orologi Rebellion, partner della gara e sponsor, tutti lo hanno preso, non senza sorpresa, come un piacevole regalo. La prima domanda che sorgeva spontanea al pilota era “perché solo al copilota?” ma la risposta non veniva pronunciata e quindi nessuno inizialmente aveva realizzato quanto sarebbe accaduto in seguito. In realtà quell’orologio era obbligatorio e tutti i copiloti dovevano indossarlo nel corso della gara, e ovviamente durante le tappe, per potersene servire. Invece in molti, pensando appunto a un regalo, lo hanno messo via e hanno tenuto al polso, in gara, il proprio orologio, con magari dentro anche sistemi e applicazioni che sono assolutamente banditi dalla Dakar. Qualche giorno di attesa ed ecco balzare alla ribalta il soprannominato “problema degli orologi”. Dalla direzione gara fioccano multe e penalità perché il pilota è stato beccato dalle telecamere, o dai commissari, con un orologio diverso al polso. La condanna parla di 30 minuti di penalità e una squalifica che diventerà attiva se solo la cosa si ripeterà. La maggior parte dei piloti cade dalle nuvole e non sa neanche di cosa si stia parlando e tenta di ribellarsi, ma senza successo ovviamente perché la regola era ben scritta sul regolamento e anche ben chiara. L’assurdo arriva quando la stessa multa viene comminata al titolare della Rebellion, anche lui in gara, nonché sponsor della prova, che di orologi della sua marca ovviamente ne possiede una collezione e una mattina ha pensato di usarne un altro piuttosto che quello regolamentare e i commissari, nonostante fosse lo stesso tipo di orologio, lo hanno comunque punito e le sue giustificazioni non sono servite a nulla…C’è da chiedersi giustamente se Rebellion il prossimo anno sarà ancora sponsor della gara.
Altra regola che non tutti conoscono è quella dei fogliettini scritti a mano, condannati da qualche tempo, insieme ai Map Man, a scomparire dall’uso quotidiano. Oggi il copilota non può utilizzare un appunto che magari si è preso il giorno prima al briefing, è vietato e se non si ricorda una cosa, non può in alcun modo fare ricorso a un pezzetto di carta, a una nota, a un pezzo di scotch su cui ha scritto in precedenza. La telecamera all’interno delle vetture in gara non perdona niente e se ti becca con un qualunque pezzo di carta in mano alla sera vieni convocato dai commissari sportivi e devi esibire il famigerato foglietto. Se il corpo del reato non contiene informazioni utili allo sviluppo della gara, o della speciale, allora non succede niente, altrimenti la pena può essere anche molto pesante. Tablet, GPS e Iritrack incorporati, dunque, sono le uniche cose concesse in macchina e chi ancora scrive sul nastro americano i chilometri, o altre informazioni fornite dagli ingegneri per esempio sui consumi del proprio veicolo deve stare attento a ben nascondere queste note. Si tornerà a inventarsi metodi e sotterfugi come ai tempi della scuola, quando ci si scriveva sul palmo delle mani, ci si passava pezzetti minuscoli di carta, si sfruttavano gli incarti di dolcetti o caramelle per copiare una versione dal latino… o un operazione di matematica.
Queste sono solo alcune, poche, delle storie di una gara internazionale che ormai è gestita con uno stile sempre più dispotico e limitante da FIA e organizzazione. Una gara che resta bella, combattuta - e i distacchi di quest'anno lo provano - ma che continua a non fare i conti con le persone, con i piloti, trattati come numeri, senza alcuna personalità o valore immersi in un distacco fra chi comanda e chi corre, che sgomenta.
Chi da casa nei giorni scorsi ha avuto una sensazione diversa non ha capito davvero come vanno le cose: la polemica assurda sugli 8 kW in più sulle auto elettriche, pari a 11 cavalli, che in molti hanno criticato non poteva cambiare in alcun modo le prestazioni e le differenze in pista e i fatti lo hanno dimostrato. Scriverne però sui Social è costato all'equipaggio Al Attiyah-Baumel un richiamo, e una convocazione davanti al comitato FIA per risponderne, in pieno stile Gestapo. Non si può più parlare, scherzare, o fare battute e la polemica, per qualsiasi cosa, alimenta un bivacco che oltre che essere abbastanza desolante, diventa sempre più grande e tende a isolare, più che ad aggregare.
Ma questa, ahimè, sembra essere la direzione intrapresa da questo campionato cross country rally che solo nei prossimi mesi potrà dimostrare le sue qualità, se ne ha, e il suo livello.
Foto di copertina (Red Bull Content Pool)
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